le uova sono fredde

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Quando alla fine tornai a casa capii che tu
eri via. Lo capii dal fatto che il mazzo
di chiavi con la bussola di onice non era
nel piatto d’argento a destra della porta d’ingresso,
né in camera da letto c’erano i tuoi stivali
di plastica gialla. La pioggia, leggera,
presto sarebbe diventata violenta.
Sulle vetrate del soggiorno era discesa
una schiuma scintillante e tu avresti avuto
paura dell’ignoto che avrebbe premuto
le sue cento mani sul nostro appartamento.
La paura sarebbe arrivata con la tenebra e,
a quel punto, noi, rimasti soli con noi due,
ci saremmo fatti del male. Per le strade si stava
raccogliendo l’assenza, eppure io
ti sapevo al sicuro, – potevi essere dai tailandesi,
dove mobili laccati di rosso disegnano ombre
di lanterna. Oppure a casa di quella
tua amica di Taiwan, quando siete assieme
bevete spumante, e parlate di quante opportunità
disponga questo mondo sulla strada
degli ambiziosi. Il lago torbido è un nodo
di canne, ne vedo gli scintillii strozzati
dalla finestra del bagno. Canne venute su
dalla terra, il cantiere del nuovo mall è scomparso
nell’acqua uscita dalla terra, sottili lamiere
tagliano la superficie del lago come
vele immobili. Le anatre si nascondono
nella vegetazione pioniera, le uova sono fredde.
Altre lamiere, sulle sponde incerte, stanno
sospese a mezz’aria e sembra che escano dal suolo
come pagliuzze d’oro. La pioggia battente
le anima, le muove come ali di libellula,
la pioggia dà loro parole bellissime
arrivano fino a qui, in questa casa piena
per metà e non ne capisco che poche, troppo poche.

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