L’odore di terra metallica entrava in casa,
proveniva dai rami spezzati dallo schianto,
era stato un furgone di surgelati in retromarcia.
Le arance erano cadute sul marciapiede, con l’apparato
di deboli foglie. Questo lei non lo sapeva e non
le sarebbe importato – ma il sapore della linfa
sugli occhi le aveva riportato alla memoria
la potatura delle siepi di tuie e suo zio. Quello
stesso giorno, un fine settimana agli inizi di giugno
di tanti anni prima, avevano piantato
un girasole sotto alla finestra della cucina.
Lo stesso giorno aveva trovato la talpa, immobile.
Era infestata dalle larve. Era stato
il suo primo incontro con la morte
e non aveva pianto. Con quel pensiero davanti
agli occhi ebbe il sospetto che le pareti, il palazzo,
il suo soggiorno, stessero vibrando.
Decise di trattenere il fiato, per qualche secondo,
nel tentativo di comprendere che cosa
stesse accadendo, trattenendo il fiato e chiudendo
gli occhi avrebbe identificato le cause di quel
fenomeno (terremoto?). Il suono era debole ma
stava aumentando, si mischiava a quelli
del suo corpo, i suoi tessuti non opponevano
alcuna resistenza. Il suono così aveva modo di legarsi
ai globuli rossi, ai linfociti T, ai fagociti, a ogni
sua cellula. Il suono andava da una parte all’altra,
rimbalzava e l’epidermide lo circondava
impedendogli di uscire e così quello
si accumulava condensandosi sugli organi.
Quale ne fosse l’origine non le era possibile
comprenderlo, per quanto lei si sforzasse. Forse
era l’aria stessa che si scuoteva come un vetro
che sta per rompersi. L’aria, era l’aria?
A contrarsi e poi distendersi, come un muscolo
completo, come percorsa dagli spasmi
di un tetano generalizzato. Poteva essere
qualche cosa al di là del muro, nell’appartamento
dei vicini, o lontana, lontana e mastodontica, una
macchina capace di proiettare un’ombra
al margine estremo del potenziale campo visivo.
Era il suono di una macchina. Di questo
si stava convincendo. Non una macchina qualsiasi,
non la betoniera. Era la macchina della fine dei tempi.
Un setaccio che gira e gira e frantuma le strade,
le palazzine, le automobili parcheggiate,
le barche in rada e i crocieristi. La macchina
rompe ogni involucro, libera le sostanze.
proveniva dai rami spezzati dallo schianto,
era stato un furgone di surgelati in retromarcia.
Le arance erano cadute sul marciapiede, con l’apparato
di deboli foglie. Questo lei non lo sapeva e non
le sarebbe importato – ma il sapore della linfa
sugli occhi le aveva riportato alla memoria
la potatura delle siepi di tuie e suo zio. Quello
stesso giorno, un fine settimana agli inizi di giugno
di tanti anni prima, avevano piantato
un girasole sotto alla finestra della cucina.
Lo stesso giorno aveva trovato la talpa, immobile.
Era infestata dalle larve. Era stato
il suo primo incontro con la morte
e non aveva pianto. Con quel pensiero davanti
agli occhi ebbe il sospetto che le pareti, il palazzo,
il suo soggiorno, stessero vibrando.
Decise di trattenere il fiato, per qualche secondo,
nel tentativo di comprendere che cosa
stesse accadendo, trattenendo il fiato e chiudendo
gli occhi avrebbe identificato le cause di quel
fenomeno (terremoto?). Il suono era debole ma
stava aumentando, si mischiava a quelli
del suo corpo, i suoi tessuti non opponevano
alcuna resistenza. Il suono così aveva modo di legarsi
ai globuli rossi, ai linfociti T, ai fagociti, a ogni
sua cellula. Il suono andava da una parte all’altra,
rimbalzava e l’epidermide lo circondava
impedendogli di uscire e così quello
si accumulava condensandosi sugli organi.
Quale ne fosse l’origine non le era possibile
comprenderlo, per quanto lei si sforzasse. Forse
era l’aria stessa che si scuoteva come un vetro
che sta per rompersi. L’aria, era l’aria?
A contrarsi e poi distendersi, come un muscolo
completo, come percorsa dagli spasmi
di un tetano generalizzato. Poteva essere
qualche cosa al di là del muro, nell’appartamento
dei vicini, o lontana, lontana e mastodontica, una
macchina capace di proiettare un’ombra
al margine estremo del potenziale campo visivo.
Era il suono di una macchina. Di questo
si stava convincendo. Non una macchina qualsiasi,
non la betoniera. Era la macchina della fine dei tempi.
Un setaccio che gira e gira e frantuma le strade,
le palazzine, le automobili parcheggiate,
le barche in rada e i crocieristi. La macchina
rompe ogni involucro, libera le sostanze.